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L’UTILIZZO DEL BUONO PASTO COME STRUMENTO DI WELFARE

di Pierluigi Tessaro

I buoni pasto, o ticket restaurant, sono ormai entrati a pieno titolo nelle politiche di welfare delle realtà aziendali, pubbliche e private. Si tratta di strumenti di pagamento alternativi al denaro che le amministrazioni concedono ai propri dipendenti come servizio sostitutivo della mensa aziendale.

Sono, quindi, esclusi dagli istituti contrattuali perché non incidono sul trattamento economico fondamentale riconosciuto al lavoratore.

Il buono pasto può essere di tipo cartaceo, composto da matrice e buono, o elettronico, dotato di microchip.

L’art. 1, comma 677, della Legge di Bilancio 2020, ha previsto l’attuale formulazione degli importi corrisposti a titolo di ticket restaurant, abbassando l’assoggettabilità previdenziale e fiscale di quelli cartacei da 5,29 a 4 euro ed il contemporaneo incremento di quelli elettronici da 7 a 8 euro (articolo 51, comma 2, lettera c del TUIR).

Pertanto non concorre a formare il reddito imponibile fino all’importo di 4 euro, se cartaceo, e 8 euro se rilasciato in modalità elettronica.

La parte eccedente tali valori rileva ai fini contributivi e fiscali.

Per le amministrazioni pubbliche, l’articolo 5, comma 7, del D.L. n. 95/2012 stabilisce che il valore dei buoni pasto attribuiti al personale, anche di qualifica dirigenziale, non deve superare il valore nominale di 7 euro.

A decorrere dal 9/9/2017, il Ministero dello Sviluppo Economico ha disposto che il buono pasto non può essere commerciabile, né convertibile in denaro, né ceduto a terzi e può essere spendibile fino ad un numero massimo di 8 ticket di spesa giornaliera.

Secondo una ricerca, presentata il 13 maggio 2024 a Milano e realizzata da ALTIS Università Cattolica e promossa da ANSEB, Day, Edenred, Gruppo Pellegrini, Pluxee e Toduba in relazione all’impatto sociale ed economico dei buoni pasto, è risultato che i percettori del ticket cartaceo o elettronico in Italia sono 3,5 milioni di lavoratori, di cui il 20% nelle amministrazioni pubbliche, con un valore medio del buono pari a 6,75 euro, insufficiente però a coprire un pasto, che nei locali convenzionati risulta pari a 11 euro.

Negli ultimi anni, caratterizzati da un consistente aumento dell’inflazione con una corrispondente contrazione dei salari effettivi, il buono pasto, risultando uno strumento particolarmente versatile, ha contribuito ad integrare il reddito, considerando che viene sempre più utilizzato come strumento di spesa al supermercato.

Basandosi su queste premesse, la formulazione del Ddl S. 672 “Semplificazioni in materia di lavoro e legislazione sociale” ha previsto delle modifiche all’articolo 51 del TUIR con riferimento ai buoni pasto elettronici.

La proposta indicata nella proposta di legge è l’aggiornamento del valore del buono pasto elettronico portandolo a 10 euro, ritenendo tale importo adeguato per la consumazione di un pasto.

L’obiettivo è di ridurre il gap con i prezzi rilevati nei locali convenzionati, considerando la forte inflazione ed il conseguente aumento dei costi.

Secondo una ricerca condotta da BVA Doxa, nel 2023 un panino con una bevanda e un caffè viene a costare 8,10 euro.

Il prezzo sale a 9,80 euro in caso di primo piatto, bevanda e caffè e aumenta a 11,60 euro se al posto del primo si prende il secondo.

Un menù completo viene a costare mediamente 15 euro arrivando, in certi casi, a 20 euro con un secondo di pesce, contorno, acqua e caffè.

E’ stato rilevato che molti esercenti non accettano i buoni pasto perché i costi delle commissioni sono risultate particolarmente elevate, con medie dell’11% fino ad arrivare a picchi del 15%.

Lo studio evidenzia l’importanza sempre crescente del buono pasto come strumento di welfare e di sostegno alle famiglie, tanto che il 67% dei beneficiari lo considera fondamentale.

Nel pubblico impiego è da rilevare, tuttavia, la differenza di trattamento fra i vari comparti di contrattazione.

Nel contratto sanità è prevista la compartecipazione di un quinto del valore nominale a carico del dipendente, considerando esclusivamente le realtà ospedaliere, mentre, invece, tale tipologia contrattuale viene applicata anche ad altre realtà lavorative come IRCCS, istituti zooprofilattici ed Arpa, molto diverse da ospedali e ussl.

Sarebbe, quindi, auspicabile che venisse attuata una disciplina omogenea e semplificata per tutti i comparti della Pubblica Amministrazione, attribuendo un valore uguale per tutti senza alcun addebito ai dipendenti.

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