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Avv. Carmine Podda

“La moralità professionale” e l’esclusione dalle gare d’appalto

llppUna recente pronuncia dei giudici di Palazzo Spada (Consiglio di Stato n.4228/10.09.2015) ci consente di approfondire la tematica della esclusione dalle procedure di gara di appalto nelle ipotesi di accertamento in capo agli offerenti di sentenze definitive di condanna per reati incidenti “sulla moralità professionale”, questione dibattuta che, a causa dalla non cristallina formulazione del dato normativo, crea sovente problematiche interpretative tra gli addetti ai lavori operanti nelle pubbliche amministrazioni e sfocia altrettanto sovente in contenziosi giudiziali.

Nella caso in esame l’organo giudicante si trova ad esprimersi con riferimento ad un concorrente che, nel presentare la propria offerta, non aveva dichiarato le sentenze di condanna riportate nel casellario (in primis bancarotta fraudolenta e violazione delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistica-edilizia) né la pendenza di carichi penali come poi accertati dal relativo certificato: tale grave omissione induce il Consiglio di Stato a confermare la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittima la decisione assunta dalla stazione appaltante di escludere il concorrente medesimo in virtù della valutata incidenza dei reati commessi sulla correttezza morale e professionale nonché sulla fiducia che deve legare i contraenti nell’ambito della contrattazione pubblica.

Tale valutazione è dunque riservata all’Amministrazione appaltante e non è sottoponibile al sindacato giurisdizionale se non nei termini della “verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti come ragioni del rifiuto” (Cass. SS.UU. n.2312/2012).
La sentenza in questione consente di tracciare un rapido quadro chiarificatorio in merito alla normativa citata (art.38 c.1 lett c) e ancor prima in merito alla corretta identificazione legislativa dei certificati in questione relativi rispettivamente al casellario giudiziale ed ai carichi pendenti:
a) come noto, ai sensi del DPR 313/2002, nel casellario giudiziale vengono sostanzialmente iscritti per estratto i provvedimenti giudiziari definitivi (penali di condanna, pene accessorie, libertà condizionale, interdizione, provvedimenti amministrativi di espulsione etc.); nel “casellario dei carichi pendenti” sono invece iscritti per estratto i dati relativi ai provvedimenti giudiziari riferiti ai soggetti che rivestono la mera qualità di imputato (provvedimenti giudiziari di cui all'art. 60 c.1 e art.636 c.1, del codice di procedura penale etc.)
b) ai fini dell’effettuazione dei controlli di cui all’art.38 rileva il casellario giudiziale unitamente alla ulteriore documentazione, a seconda della indagine da effettuare: esemplificativamente, ai sensi del c.1 lett. c) si fa riferimento a sentenze di condanna passate in giudicato o decreti di condanna irrevocabili e dunque il documento da prendere in esame è il casellario giudiziale e non il casellario dei carichi pendenti; così come il requisito di cui al c.1 lett. m) va verificato richiedendo l’apposito certificato dell’anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato ed il requisito di cui alla lett. b) (misure di prevenzione e cause ostative ex D.Lgs. n.159/2011) è soggetto al controllo a mezzo degli Uffici della Prefettura competenti per territorio.

Al fine della verifica dunque del possesso dei requisiti di cui alla lett. c) non è necessario analizzare i carichi pendenti bensì il casellario giudiziale, ad esclusione dell’ipotesi in cui il bando di gara preveda espressamente una dichiarazione dal contenuto completo, anche con riferimento ai carichi pendenti: in quest’ultima ipotesi la stazione appaltante si autovincola ad effettuare quest’ulteriore controllo certificatorio che determina l’esclusione dalla procedura di gara qualora il partecipante renda una dichiarazione non veritiera, non configurandosi nel caso specifico la fattispecie del “falso innocuo” (ex multiis Cons. di Stato n. 4896/2014)
Qualora dunque il bando di gara non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione ex art. 38 c.1 lett c), D.Lgs. n. 163/2006, ma esiga una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale (dichiarazione espressa di tutti i reati determinanti sentenze di condanna passate in giudicato o di applicazione della pena ex art. 444 e segg. c.p.p come risultanti dal casellario giudiziale), qualora il concorrente abbia omesso di dichiarare alcuno di detti reati, si configura una falsa autocertificazione, con conseguente automatica esclusione dalla gara e salve le eventuali responsabilità penali riscontrabili da parte della competente autorità giudiziaria.

Ed in considerazione della accertata falsa autocertificazione e della correlata esclusione, finisce per risultare irrilevante la circostanza che la condanna subita incida o meno sulla moralità professionale dell’aggiudicatario.
Ad ogni modo, a ben guardare, è proprio l’estensione del potere discrezionale della stazione appaltante in ordine al giudizio sull’incidenza del reato commesso sulla moralità professionale del concorrente/appaltatore, ad essere frequente oggetto di contenzioso giudiziale.
L’art.38 c.1 lett. c) così recita: “(Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti) … nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18”.
Il meccanismo di esclusione scaturente dalla prima parte della lettera c) non è automatica: la norma fa carico al giudizio tecnico della stazione appaltante di valutare la “gravità del reato” non soltanto con riferimento alla singola fattispecie criminosa, ma anche - come confermato dalla giurisprudenza prevalente - tenendo conto del lasso di tempo intercorso dalla condanna, della mancanza di recidiva, della maggiore o minore connessione del reato stesso con l’oggetto dell’appalto.
A conferma di quanto sostenuto ed al fine di evitare possibili errori interpretativi con temerarie esclusioni dalle gare, a parere di chi scrive sarebbe opportuno seguire la linea di indirizzo della defunta Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici nella chiara Determinazione n.1/2010: “Requisiti di ordine generale per l'affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 nonché per gli affidamenti di subappalti.

Profili interpretativi ed applicativi” che, per quanto necessitante di attualizzazione normativa, dovrebbe costituire un generale punto di riferimento interpretativo: la verifica dell'incidenza dei reati sulla moralità professionale delle imprese partecipanti alle gare di appalto attiene all'esercizio del potere discrezionale tecnico della stazione appaltante che deve valutare l'idoneità del reato ad integrare la causa di esclusione in esame con riferimento alla circostanza del fatto, al tempo trascorso dalla condanna ed alle eventuali recidive, il tutto in relazione all'oggetto ed alle caratteristiche dell'appalto nella misura in cui la corretta effettuazione della prestazione contrattuale potrebbe essere compromessa a causa della inaffidabilità “morale” e “professionale” dell’aggiudicatario, come eventualmente testimoniato dal/i reati commessi.

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