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La P.A. invecchia… attivamente!  (terza ed ultima parte)

A cura di Daniele Perugini

link alla prima parte - link alla seconda parte

Proseguendo il percorso di analisi delle politiche di invecchiamento attivo, dopo averne delineato gli elementi caratterizzanti, richiamato studi ed esperienze di livello anche internazionale e riferito di alcune buone pratiche del c.d. active ageing sviluppate nelle aziende private, si vedrà ora come la Pubblica Amministrazione, privilegiando comunque le logiche di servizio e di continuità dell’azione amministrativa, ha fatto proprie alcune di queste esperienze ma si è anche resa in molti casi parte attiva in nuovi studi in favore dei lavoratori “esperti”, diventando bacino di incubazione per nuove iniziative, non altrimenti esercitabili a livello sperimentale in un ambito privatistico pressoché votato al profitto.

Un primo interrogativo (banale, ma non troppo) viene naturale: perché la Pubblica Amministrazione si ostina a voler improntare la propria attività su principi di derivazione privatistica? Apparentemente tutto questo non avrebbe senso, perché la PA è strutturata in maniera differente, ha finalità non prettamente economiche - anche se da gestire secondo economicità, efficacia ed efficienza e traguardando quello che viene definito “outcome” - ma è libera dagli stretti vincoli di cui il privato deve tener conto per sopravvivere sul Mercato.

D’altro canto, pur se con rigidità e complessità, la burocrazia pubblica origina maggiori vantaggi (in termini di sicurezza, di garanzie di diritto, ecc.) che demeriti ed è svincolata dall’esigenza primaria dell’imprenditore, che è invece stretto dalla morsa della competitività e del profitto, con la sola eventualità - nei casi di imprenditori “illuminati”, cioè coscienti del loro ruolo anche etico e sociale - di promuovere investimenti ed innovazione.

UNA P.A. LIBERA DI SPERIMENTARE. Al di là del raziocinio e dei vincoli cui è comunque chiamata, anche sulle tematiche oggetto di questo contributo, la Pubblica Amministrazione è invece più libera di sperimentare, ove reperisca idee e risorse necessarie, costituendo il bacino ideale per far proprie le altrui esperienze e sviluppare progetti ed idee originali. Nel caso che ci riguarda, infatti, non ci si può limitare a scimmiottare passivamente alcune buone pratiche già attuate per le seniority delle grandi aziende, con un maquillage di facciata che renda appetibili tali pratiche alla diversa platea dei destinatari. È necessario, piuttosto, che la PA, attraverso idonee politiche, metta in campo un’operazione ben più articolata di ricerca, innovazione e contestualizzazione, che miri a costruire modelli specifici e sperimentare proposte concretamente realizzabili per la collettività di appartenenza. Peraltro, mentre a volte, nel settore privatistico, la mancata applicazione delle buone prassi per gli over 50 può esser motivata dalla presenza (frutto di scelte aziendali) di personale mediamente più giovane (meno costoso e più elastico, per quanto eventualmente meno professionalizzato), altrettanto non si può affermare per le amministrazioni pubbliche del nostro Paese, caratterizzate da una forza lavoro che - stante anche l’ultima rilevazione del Conto Annuale 2015 pubblicata in questi giorni dalla Ragioneria Generale dello Stato – ha ormai raggiunto mediamente i cinquant’anni di età anagrafica. Quindi nelle organizzazioni pubbliche il problema esiste e tende ad assumere proporzioni decisamente importanti per diffusione, tant’è che il management pubblico, seppur con un certo ritardo e la consueta lentezza, comincia a prenderne coscienza e ad approntare correttivi. Se non è possibile, infatti, ignorare le condizioni dei tanti addetti senior del mondo privato, costretti a lavori non più compatibili con la loro età anagrafica, non vanno d’altro canto nascoste le difficoltà (altrettanto pesanti, seppur diverse) dei lavoratori pubblici, con riguardo specifico, ad esempio, ad alcune categorie come gli operatori della Sanità, della Scuola e dei Servizi pubblici, sottoposti anch’essi a stress, turnazioni e a lavori faticosi ed esposti al rischio di burn out. Non a caso, proprio per queste categorie più che per altre, al sopraggiungere dell’età viene rilevato un incremento delle inidoneità, cioè le certificazioni che escludono il singolo lavoratore da una o più mansioni per motivi di salute.

DUE SILENZIOSI FANTASMI… Nel sottolineare la peculiarità del pubblico impiego e a sostegno dell’opportunità di una esperienza specifica rispetto ad un mero adattamento delle buone pratiche del settore privatistico, va qui anche ricordato che le politiche di “gestione dell’età” nelle amministrazioni pubbliche devono convivere, inevitabilmente, con due silenziosi fantasmi che aleggiano tra i corridoi delle nostre burocrazie. Il primo, il più facilmente riconoscibile, corrisponde ad un dato oggettivo: si pensi all’organizzazione dello Stato, caratterizzata da una miriade di configurazioni nelle quali gli enti risultano differenziati non solo dal punto di vista amministrativo ed organizzativo, ma anche in relazione ad aspetti (quali quelli dimensionali, di distribuzione territoriale, di articolazione delle funzioni, di titolarità del potere decisionale, ecc.) che influiscono marcatamente nelle scelte di strategia da porre in essere rispetto ai temi dell’invecchiamento attivo. È evidente, ad esempio, che le tante realtà pubbliche di modeste dimensioni e con compiti pressoché stereotipati hanno difficoltà (se non all’interno di “contenitori” più ampi, promossi da unioni amministrative e strutture associative categoriali) a mettere in campo progetti ed energie adatti alla gestione di percorsi di age management stabili, modulari e multidisciplinari, come finora rappresentati. Il secondo spettro che caratterizza le nostre burocrazie ha invece natura soggettiva, pur scaturendo dall’agire stesso delle organizzazioni. Il pubblico impiego sconta, infatti, una progressiva diminuzione del senso di appartenenza e una preoccupante diffusione, a tutti i livelli, di scoramento e demotivazione lavorativa (esacerbata con preoccupante ricorrenza da strumentali campagne mediatiche che, anziché porre in evidenza la preponderante parte “buona” della PA, enfatizzano con inique generalizzazioni scorrettezze e infedeltà di singoli) che l’avanzamento dell’età tende a tramutare in fenomeni di “shirking”. Non a caso, già dalle prime iniziative di active ageing messe in campo è stata rilevata la necessità di depurare ogni piano d’azione da riferimenti relativi alla senilità e alla prossima fuoriuscita dal mondo del lavoro, che avrebbero solo l’effetto di suscitare un senso di avvilimento nei partecipanti, quasi si trattasse di una loro “ghettizzazione”.

ANCHE LA P.A., NEL SUO PICCOLO… I numeri e le peculiarità del contesto pubblico finora rappresentati e la pressoché totale assenza di strumenti contrattuali in grado di offrire una gratificazione economica a supporto delle motivazioni dei lavoratori più anziani hanno costretto le pubbliche amministrazioni a muoversi entro rigidi binari, pur di promuovere il riconoscimento e la valorizzazione della professionalità e garantire il trasferimento intergenerazionale di prassi e conoscenze in un clima collaborativo. Anche per questo gli interventi sono stati spesso forzatamente circoscritti a pochi cluster di beneficiari rispetto alla potenziale e più ampia platea che costituisce la seniority nel pubblico impiego. Fondamentale in ciascun percorso è, come sempre, la preventiva mappatura della platea e delle rispettive competenze (che beneficia dell’analisi dei curricula e delle risultanze di specifici focus group), con particolare riguardo a quelle ritenute “posizioni-chiave”. È innegabile che il non poter contare in ambito pubblico sugli incentivi economici e sulla possibilità di offrire avanzamenti di carriera limita non poco l’appeal di certi interventi, ma non impedisce di ottenere risultati più che soddisfacenti nel consolidare il senso di appartenenza ed il coinvolgimento nella mission aziendale, nel dare valore al patrimonio di esperienze e conoscenze della seniority, nel promuovere la formazione continua e l’osmosi delle competenze consolidate nel tempo. A ben vedere, se ai lavoratori più giovani vanno riconosciute elasticità mentale, creatività ed apertura al cambiamento, d’altro canto è proprio nella fascia over 55 che possono invece maggiormente riscontrarsi professionalizzazione, esperienza lavorativa e conoscenza delle dinamiche e delle strategie aziendali. Tutti elementi positivi questi ultimi che nel pubblico impiego, unitamente al prestigio spesso riconosciutole dai junior, permettono di costruire, ove adeguatamente motivata, una seniority in grado di assumere in piena consapevolezza la responsabilità di fungere da leva e garante del ciclo professionale intergenerazionale. Laddove siano stati individuati strumenti ed iniziative proponibili, ogni amministrazione ha scelto modalità diverse per stimolare alla partecipazione i destinatari. Nelle diverse esperienze, particolarmente apprezzate sono quelle iniziative nelle quali vengono previsti un passaggio a posizioni lavorative migliori dal punto di vista della salute o una gestione flessibile del tempo lavorativo (anche con riguardo a sopravvenute esigenze personali o familiari). Degni di valore etico e sociale sono poi gli interventi che prevedono percorsi guidati di prevenzione e controllo dello stato di salute, con la possibilità per il lavoratore senior di essere seguito non solo nella fase finale del proprio percorso lavorativo, ma anche successivamente al collocamento a riposo. Negli ultimi anni, diverse istituzioni pubbliche locali (Regioni, Unione di Comuni, ecc.) - raccogliendosi attorno a progetti di sperimentazione  guidati da autorevoli Università e Politecnici o istituzioni preposte (all’interno di Progetti specifici, come quelli promossi, ad esempio, da ISFOL e, a livello comunitario, dall’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro), grazie al supporto di associazioni di categoria (ANCI, in primis) e con il sostegno di fondi pubblici - hanno realizzato per le proprie seniority alcuni efficaci interventi di promozione dell’invecchiamento attivo. In questo contesto, dei pregevoli interventi avviati nelle amministrazioni pubbliche risulta assai complicato riportarne un’analisi puntuale, in mancanza di una rete che consenta di raggrupparli e porli a confronto, pena il rischio di non riuscire a valorizzare i meriti e le potenzialità dell’intera pletora di iniziative. Va comunque rilevato che anche alcuni grandi enti, ben strutturati e localizzati sul territorio, stanno sperimentando percorsi di valorizzazione mirati per i lavoratori senior. L’INAIL, ad esempio, oltre che sostenere da tempo studi e campagne informative sul tema rivolti all’intera platea dei lavoratori assicurati, ha intrapreso significative iniziative anche in favore dei propri dipendenti. Apprezzabile, in tal senso, è anche l’esperienza avviata di recente dall’INPS, in favore dei propri lavoratori senior.

L’ESPERIENZA INPS. L’INPS, infatti, nell’attuale fase di innovazione della struttura organizzativa e di evoluzione del modello di offerta dei servizi a cittadini, imprese e altre amministrazioni, ha recentemente attivato un percorso di specifica valorizzazione delle risorse professionali interne, riservato al personale senior. In un contesto dove l’età media degli operatori è ormai di 55 anni (ben più alta della media nazionale, rilevata dal Conto Annuale RGS) ed è tendente all’aumento, stante il persistente blocco del turn-over, il progetto INPS intende promuovere la cooperazione cross-generazionale, creando al contempo opportunità di crescita sostenibili attraverso l’adozione di politiche formative mirate all’introduzione della cultura dell’empowerment, della valorizzazione e dello sviluppo del potenziale e della solidarietà intergenerazionale. Il modello individuato dall’Istituto prevede quattro fasi, ribattezzate eloquentemente Mapping, Planning, Action e Check-up. L’iniziativa, al momento, ha coinvolto, su base volontaria, i titolari di posizione organizzativa delle direzioni centrali e analoghi profili di responsabilità a livello territoriale, nell’ambito delle linee di produzione previdenziali, assistenziali e pensionistiche dell’Istituto, per ora chiamati a partecipare a laboratori esperienziali, percorsi formativi e di consolidamento delle capacità relazionali e comportamentali, in ordine alla gestione complessiva del turn over, con l’obiettivo di ottimizzare le modalità di trasmissione del patrimonio di esperienze e conoscenze dei senior verso le altre fasce di lavoratori. La concreta attuazione del progetto e le modalità di intervento promosse dall’ente previdenziale ricalcano, in massima parte, quanto è stato ipotizzato come miglior pratica per una pubblica amministrazione, privilegiando, nello specifico, strumenti quali il team building tra età diverse e il reverse-mentoring per lo svecchiamento professionale. Uno degli obiettivi principali è quello di favorire nel senior la consapevolezza del ruolo attivo nell’organizzazione e la scoperta di nuovi stimoli, attraverso tecniche proprie del c.d. “scambio dei saperi”, così da mantenere una continua tensione all’apprendimento (individuale e organizzativo) lungo tutte le fasi del ciclo di vita professionale. Le forme prescelte dall’INPS prevedono, tra l’altro, l’attivazione di percorsi improntati ad una visione orizzontale (e non gerarchica) che sappiano creare anche le condizioni per lo sviluppo della resilienza e l’adattabilità ai mutamenti; l’affidamento alla seniority di incarichi a durata definita all’interno di un progetto condiviso, implicanti forme di rotazione e reversibilità nel tempo; il riconoscimento di forme di carriera di status, rispetto alla carriera di ruolo, in cui viene riconosciuta l’esperienza con l’attribuzione di prestigio e ascolto privilegiato; la prospettiva, ove possibile, della costituzione di forme di collaborazione con l’ente che proseguano dopo il collocamento a riposo; l’offerta di forme di aiuto e sostegno in caso di necessità specifiche, di carattere psicologico e sanitario. Su quest’ultimo aspetto l’Istituto ha previsto in favore della seniority forme di coaching motivazionale e, in specifici casi, di counseling per realizzare un’efficace relazione di aiuto e di indirizzo delle energie e delle motivazioni personali verso sviluppi coerenti con le esigenze aziendali. Il progetto INPS si caratterizza anche per un’attenzione specifica alla promozione della salute riguardo stili di vita, alimentazione, prevenzione e cura, attività fisica e recupero del sonno. Nella specificità degli interventi rivolti ai lavoratori senior, le misure di prevenzione e proattive si intersecano con le tematiche cruciali del c.d. rischio da stress- lavoro correlato (inteso come quella percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste dell'ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali), oggi di interesse crescente per la più ampia platea dei lavoratori.

Come si è avuto modo di vedere nei tre appuntamenti che hanno contraddistinto le riflessioni sul tema, le politiche e le azioni in favore dell’active ageing costituiscono una dimensione trasversale di grande importanza nel nostro Paese, ove l’andamento demografico e quello occupazionale non consentono più di procrastinare decisioni “forti” su un sistema che abbraccia il lavoro, il welfare e lo sviluppo.

Si tratta, quindi, di scelte che non riguardano solo il welfare aziendale, ma che richiedono politiche e strategie nazionali congrue e sostenibili - all’interno di una visione ben più ampia rispetto al fenomeno ora in esame - e che vanno nella direzione di uno Stato moderno che non perde di vista il core del proprio governare.

Occorre tenere presente che la PA è “Istituzione fatta da persone che operano al servizio della persona”: fermo punto di riferimento deve pertanto restare una visione etica dell’azione pubblica, centrata sulla specificità dell’individuo, con le esigenze e le criticità che ne caratterizzano le diverse fasi di vita.

L’azione del policy maker necessita pertanto di essere ricalibrata in un’ottica sempre più solidale, tanto in fase di definizione di progetti volti a garantire il benessere sociale, quanto nella predisposizione di processi ed interventi di analisi e cura delle criticità organizzative ed operative che ancora caratterizzano la burocrazia pubblica.

Il contesto congiunturale di difficoltà e disagio dal quale, non senza fatica, stiamo prudentemente emergendo richiede infatti una gestione illuminata delle risorse disponibili.

Occorre trovare nuovi strumenti, occorre sperimentare nuove politiche.

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